FAIB FEGICA E FIGISC SULLA SENTENZA DI TORINO IN MATERIA DI APPALTO
A tutti i Gestori
A tutti gli Appaltisti
di rete ordinaria e autostradale
Cari colleghi tutti,
l’11 dicembre scorso, il Tribunale di Torino, Sezione del Lavoro, ha pronunciato la Sentenza in primo grado che riteniamo possa essere di vostro particolare interesse e di cui, di seguito, estrapoliamo alcuni passaggi tra i più significativi.
I FATTI
L’Azienda, cessato il rapporto con il Gestore che fino ad allora aveva un regolare contratto di affidamento in uso gratuito (comodato) ex d.lgs. n. 32/1998 e collegato contratto di fornitura carburanti, ha continuato ad utilizzare le sue prestazioni lavorative tramite un contratto di appalto di servizi.
L’Appaltista (ex Gestore) era tenuto, tra l’altro, a:
i) osservare un orario di lavoro minimo di apertura dell’impianto;
ii) incassare i pagamenti ed effettuare il versamento del contante presso gli istituti bancari indicati dall’Azienda;
iii) assicurare il corretto rifornimento dei prodotti petroliferi;
iv) assistere alle operazioni di carico e scarico dei prodotti petroliferi, aggiornare quotidianamente la tenuta del registro UTF e provvedere alla riconciliazione fisico-contabile dei prodotti petroliferi tra i dati del carico, del venduto e delle giacenze nelle cisterne;
v) effettuare, con cadenza quotidiana, la rilevazione dei prezzi degli impianti concorrenti, provvedere all’aggiornamento dei prezzi di rivendita dell’impianto e controllare la corrispondenza dei prezzi con la cartellonistica presente sull’impianto;
vi) provvedere alla pulizia dell’impianto conformemente alle istruzioni ed indicazioni impartite;
vii) riferire e giustificare eventuali assenze o impedimenti allo svolgimento della prestazione lavorativa.
La remunerazione era composta da una somma fissa, oltre ad una somma variabile.
Non avendo ricevuto quanto a lui spettante nel periodo in cui era ancora Gestore, l’Appaltista ha fatto notificare all’Azienda un decreto ingiuntivo relativo a crediti maturati nel periodo precedente, regolato dal regime di cui al D.lgs. n. 32/1998.
A distanza di pochi giorni da tale notifica, è pervenuta all’Appaltista la disdetta dal contratto di appalto da parte dell’Azienda con obbligo di restituzione del complesso dei beni costituenti l’impianto entro tre mesi.
L’Appaltista, tuttavia, ha sì riconsegnato i beni aziendali, ma non senza aver contemporaneamente:
a) contestato la legittimità del contratto di appalto;
b) chiesto di veder riconosciuta la natura subordinata del rapporto di lavoro;
c) domandato le differenze retributive spettanti;
d) impugnato la disdetta del contratto di appalto, considerata come licenziamento con preavviso.
LE VALUTAZIONI DEL GIUDICE
Si osserva che la disciplina contrattuale contenuta nel contratto di appalto sottoscritto tra le parti, disegna un rapporto da cui emergono, già in astratto, spazi di autonomia assai limitati per la parte (Appaltista) chiamata a realizzare le attività oggetto dell’appalto.
Alla luce delle clausole esaminate, si può affermare che la disciplina contrattuale in questione delinea un rapporto caratterizzato da mansioni esecutive e ripetitive, ampiamente predefinite dalla società committente (l’Azienda) nelle modalità esecutive; non emergono spazi significativi di autonoma organizzazione e gestione da parte dell’appaltatore; l’orario di lavoro è determinato dall’Azienda (salvo marginali possibilità di espansione da parte dell’appaltatore) e da essa modificabile in via unilaterale; non emerge l’assunzione di alcun rischio d’impresa, anche alla luce delle modalità e della struttura del corrispettivo.
Alla luce del complesso delle previsioni contrattuali e dell’istruttoria espletata si ritiene accertata la natura subordinata del rapporto di lavoro.
Nei fatti, poi, si evidenzia la natura esecutiva, ripetitiva e materiale delle mansioni affidate all’Appaltista, nello svolgimento delle quali non erano lasciati al lavoratore spazi sostanziali di iniziativa autonoma in vista di un risultato.
Le mansioni corrispondono a quelle del “Pompista specializzato”, figura professionale inclusa tra i profili del IV livello del CCNL Commercio Terziario.
Si osserva che il rapporto non presenta le caratteristiche che, a norma dell’art. 1655 c.c., caratterizzano un contratto di appalto, ossia l’organizzazione dei mezzi da parte dell’appaltatore e la gestione a proprio rischio.
Alla luce di tali elementi risulta dunque accertata la natura subordinata a tempo pieno e indeterminato del rapporto.
Il lavoratore ha anche invocato la nullità della disdetta quale licenziamento ritorsivo.
Come argomentato dal lavoratore, è possibile affermare che il licenziamento in parola abbia natura ritorsiva.
La volontà di rappresaglia nei confronti di un lavoratore che si è limitato ad azionare le sue legittime pretese creditizie a mezzo di un decreto ingiuntivo costituisce motivo illecito del licenziamento. Dal momento che tale motivo illecito può nel caso di specie ritenersi unico e determinante, il licenziamento risulta nullo.
LA DECISIONE DEL GIUDICE
In conclusione, per le ragioni sopra esposte:
1) deve essere dichiarata la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato indeterminato a tempo pieno ed inquadramento nel 4° livello CCNL;
2) di conseguenza, l’Azienda deve essere condannata al pagamento in favore della parte ricorrente delle differenze retributive come sopra quantificate;
3) inoltre, deve essere dichiarata la nullità del recesso adottato dalla convenuta, con applicazione della tutela reintegratoria nel posto di lavoro;
4) l’Azienda è, inoltre, condannata al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, di un’indennità mensile commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, dalla cessazione del rapporto per ogni giorno di ritardo sino all’effettiva reintegrazione, oltre agli interessi legali e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali;
5) oltre le spese di causa.
Cari colleghi tutti,
questo, in sintesi, è quanto contenuto nella Sentenza di primo grado pronunciata appena pochi giorni fa dal Tribunale di Torino e che non sembra aver bisogno di particolari spiegazioni, né commenti di dettaglio.
Merita, invece, sottolineare che, al momento (e fintantoché non dovesse intervenire, in via del tutto eventuale, ipotetica e non certo probabile, un secondo pronunciamento contrario che la riforma), questa sentenza costituisce uno strumento formidabile nelle mani di ciascuno di voi e della categoria nel suo complesso.
Dei Gestori, per potere difendersi dalle pressioni su di essi esercitate per costringerli ad accettare la trasformazione della natura contrattuale del loro rapporto.
Degli Appaltisti, perché siano consapevoli delle caratteristiche che configurano la natura illegittima, ora conclamata dal Giudice, del contratto a cui sono stati sottoposti: natura illegittima che può essere fatta valere di fronte al Giudice in ogni momento, da qui in avanti, persino dopo la conclusione del contratto.
Le nostre Organizzazioni continueranno ad azionare ogni strumento -politico/sindacale, ma anche giudiziario- per riuscire a tutelare diritti e facoltà individuali e collettivi.
Non esiste alcuna contrapposizione tra il mandato politico/sindacale e l’azione giudiziaria: quest’ultima, infatti, non è altro che uno degli strumenti a disposizione della categoria, di cui le nostre Organizzazioni non intendono certo privarsi a priori.
Tantomeno in circostanze, come quelle attuali, nelle quali alcune controparti dimostrano quotidianamente e da tempo, non solo di non avere alcuna remora nel violare leggi, regole, accordi, diritti, tutele; non solo di volersi sottrarre a qualsiasi di tipo di confronto e negoziato; ma di pretendere di negare in modo sistematico e consapevole persino la dignità stessa, il semplice rispetto a quanti prestano impegno e lavoro appassionato.
Non è certamente casuale che in ogni zona del Paese si stiano moltiplicando i ricorsi al Giudice da parte di nostri colleghi, ormai stremati ed esausti, non solo e non tanto dal lavoro quotidiano sempre più spesso precario e mal retribuito, quanto dal clima di sopruso e prepotenza ormai intollerabile.
Le nostre Organizzazioni non intendono lasciare soli questi colleghi, né tantomeno intendono lasciare che solo i singoli “ci mettano la faccia”.
Sentenze come quella di Torino, le altre di cui daremo prossimamente notizia ed altre ancora che si stanno preparando, sono esse stesse strumento politico che, oltre a dare giustizia (e restituire dignità) al singolo, verranno utilizzate sul piano collettivo per convincere le nostre controparti, a cominciare da quelle che al momento si mostrano più cieche ed efferate, a rientrare nei confini delle Regole e della Buona Fede, per poter ricostruire un rapporto leale e collaborativo.
Per qualsiasi necessità, ulteriori informazioni e assistenza, è possibile contattare le nostre rispettive segreterie, ai seguenti riferimenti:
FAIB Confesercenti: 0644250267; faib@confesercenti.it
FEGICA: 0676276241/2; info@fegica.it
FIGISC Confcommercio: 065866351; figisc@confcommercio.it
Buon lavoro.
Roma, 10 febbraio 2025