ANISA: LETTERA APERTA DEL PRESIDENTE NAZIONALE MASSIMO TERZI
La lettera di ANAS del 14 aprile ben fa il paio con quella di AISCAT del 2 aprile (e nel frattempo sono trascorsi altri dodici giorni di agonia per le gestioni autostradali) nel riprodurre una condotta a dir poco inerziale ed assolutamente non all’altezza della situazione di emergenza del comparto.
Come nulla fosse accaduto, ciò che ANAS (ente di diretta emanazione statale) sostanzialmente dice è che a) il servizio deve essere assolutamente garantito, b) le aziende si arrangino a ritararsi rispetto al crollo delle vendite, e, c) se c’è un problema dei mancati introiti, al più si possono solo dilazionare per il momento alcune royalty (chiamiamole più correttamente rendite di posizione) che dovranno comunque essere corrisposte subito dopo la fine della tempesta.
Inoltre, in uno slancio ecumenico, ANAS “confida” che tali misure, adottate “in via straordinaria e limitatamente al periodo di vigenza dello stato di emergenza” possano “essere estese anche a beneficio”… dei benzinai dell’autostrada, ultimo anello della filiera, ossia quelle piccole imprese che non hanno alcuna capitalizzazione, che gestiscono non un sistema articolato, ma un unico punto vendita, e che dipendono al 100 % per poter continuare ad operare dallo stretto circuito della liquidità, che, ove interrotto come ora, porta diritto al default.
E se questa è ANAS, si è già ampiamente stigmatizzato l’atteggiamento dei Concessionari delle tratte che, nonostante affermazioni di generica disponibilità, e mentre è evidente il crollo verticale del comparto, proseguono comunque una tattica dilatoria e bizantina per non mettere risorse di alcun tipo a disposizione, quegli stessi soggetti che tuttavia percepiscono pesantissime royalty sulle attività di vendita di carburanti e di altri beni e servizi svolte sulla rete autostradale.
Alcune cose sul sistema autostradale vanno dette senza tanti peli sulla lingua, anche perché non si tratta solo di quanto sta accadendo in questa drammatica congiuntura – e che, anzi, da questa situazione vengono emblematicamente enfatizzate -, ma di qualcosa che ha già portato ad una progressiva marginalizzazione del comparto.
Non solo le condizioni di concessione vigenti affidano a privati un bene pubblico con indici di remunerazione del capitale di assoluta rilevanza ed eccezionalità in un mercato già “protetto”, non solo i pedaggi percepiti dai Concessionari sono aumentati, dalla privatizzazione, di tre volte il tasso di inflazione (nel 2001 la spesa complessiva degli utenti dell’autostrada in rete era costituita per il 47 % da pedaggi ed ora arriva al 75 %), ma, oltre a tutto ciò, e secondo stime prudenziali, dalla privatizzazione ad ora l’ammontare delle royalty (rendite di sedime) percepite dai Concessionari sulle vendite di carburanti e beni e servizi diversi ammonterebbe cumulativamente a circa 5,3 miliardi di euro (e che, per inciso, ad esempio sui carburanti, valgono pro-litro ben più di quanto non venga riconosciuto al benzinaio che gestisce il punto vendita).
Tutto questo con il “timbro” dello Stato sugli atti di concessione e sui piani economico-finanziari e financo con la sua compartecipazione al meccanismo delle rendite.
Fattori tutti della progressiva marginalizzazione delle attività di servizi della rete autostradale: se fai costare progressivamente sempre più all’utente beni e servizi che costano meno fuori dalla rete – per accedere alla quale fai pagare già un pedaggio sempre crescente – l’utente non compra e non spende, prova ne sia che le vendite di carburanti erano scese (da ben prima del COVID-19) del 65 % e la spesa per servizi di somministrazione ed altri beni era diminuita del 30 % rispetto al volume del traffico e dell’inflazione. Senza contare che tutto ciò determina comunque una alterazione del mercato, delle condizioni dell’esercizio di impresa e del principio costituzionale di accesso minimo uniforme a beni e servizi per il cittadino.
Si aggiunga a ciò che questo meccanismo ha influenzato, in maniera più o meno spregiudicata, anche le politiche di prezzo dei subconcessionari (le compagnie petrolifere, ecc.) che hanno alimentato un differenziale crescente con i prezzi della rete ordinaria e tra le modalità di servizio: un disastro annunciato e pagato ancora un volta in pieno dai gestori, dall’ultimo anello, che ora è ulteriormente sacrificato dalla crisi indotta dalle limitazioni alla mobilità di persone e aziende.
Gestori che, va pur detto infine anche questo senza giri di parole, non sono in condizioni, per effetto dei rapporti contrattuali duramente vincolanti in materia di fornitura e prezzi, di avere alcuna autonomia, e che, alla fine di un esercizio annuale, già in condizioni “normali”, sono costretti a “mendicare” dalle compagnie, che sono proprietarie degli impianti e fornitori in esclusiva, limitati sostegni per non sballare del tutto il conto economico. Gestori che ora in queste settimane di assoluta “anormalità”, con la liquidità finita e la chiusura delle linee di credito, sono ancora una volta costretti a dipendere dalla maggiore o minore magnanimità delle medesime compagnie (che, almeno, in parte si sono dichiarate ad intervenire) non per guadagnare, non per salvare il conto economico, ma solo per riuscire almeno a tenere aperto il punto vendita.
Questa è la realtà che riguarda i “benzinai” dell’autostrada, in un sistema in cui la concessione è stata una man bassa per tutti, che ha sempre pagato Pantalone (l’utente), una realtà ora esplosa per questa drammatica emergenza, che per non veder la quale i maggiori beneficiari di tutti codesti fatti e misfatti girano la testa dall’altra parte.