DOCUMENTO FAIB FEGICA FIGISC AUDIZIONE COMMISSIONE CAMERA 01.10.2019
Lo scenario di riferimento e gli strumenti correttivi
La fotografia aggiornata della rete carburanti a questo 2019 evidenzia l’accelerazione della polverizzazione della rete che non ha eguali in Europa. In tre anni oltre 2.000 punti vendita in meno per le Major. Q8 è quella che registra il calo più consistente ma riduzioni importanti anche per Italiana Petroli che somma le contrazioni del marchio TotalErg e IP. Anche Eni tra le compagnie in dimagrimento. Esso, con tutte le alchimie societarie e i modelli di dismissione/ accentramento, contiene le perdite insieme alla più pirata degli operatori integrati la Tamoil.
Alla polverizzazione della rete corrisponde una identica dispersione del valore dei loghi (pompe bianche e privati operativi con propri marchi e/o in convenzionamento) con circa 130 marchi.
Ad oggi dunque circa il 60% del mercato è in mano a privati, il resto è presidiato da Eni, Italiana Petroli, che raggruppa i marchi TotalErg e ApiIp, Q8, Tamoil ed EG, che ha rilevato circa 1200 impianti Esso.
In questo scenario l’industria petrolifera abbandona progressivamente il mercato con chiusure e cessioni di pacchetti rete, sull’esempio della Esso italiana; o dando luogo a processi di integrazione tra marchi, vedi il caso Italiana Petroli, che ha inglobato i marchi TotalErg e ApiIp o Q8 che ha inglobato gli impianti Shell.
Ulteriore dato allarmante è l’indice di anzianità degli impianti con punti vendita vecchi, con più di 40 anni, che riguarda il 40% della rete. Otre il 30% degli impianti eroga meno di 500 mila litri l’anno.
Ristrutturare la rete. Si stima che 7/ 8 mila impianti sono quelli che andrebbero chiusi per incompatibilità e inefficienze e non vengono avviati allo smantellamento per i costi di bilancio di chiusura e di bonifica, in virtù del fatto che la frammentazione dei soggetti privati ha un indice del 60%. Dati che non mancano di riflettersi su una concorrenza selvaggia e su un’illegalità diffusa che giunge- secondo più fonti- ad oltre il 10% del fatturato di settore, vale a dire circa 4 miliardi l’anno.
Le Federazioni di categoria denunciano l’incapacità pubblica di non essere intervenuti almeno a chiudere gli impianti incompatibili e a stabilire nel contempo una moratoria sulle nuove aperture. Sono ancora operativi migliaia di impianti a ridosso di svincoli, semafori, incroci, rotatorie, sui marciapiedi, su aree senza la corsia dedicata di scarico merci.
Ad oggi però, in virtù del quadro illustrato, questo sistema, per i dati sopra esposti, sta per saltare, ovvero scivola giorno dopo giorno verso l’illegalità e nella inefficienza e improduttività complessiva,
con conseguenze drammatiche per il gli effetti economici e sociali in termini di servizio, sostenibilità delle gestioni, povertà per gli addetti
Illegalità complessiva. Siamo difatti, di fronte ad una rete in cui si è diffusa l’illegalità, sia in termini di quantitativi dei prodotti introdotti in evasione di iva ed accise, sia in termini qualitativi (gasolio tagliato con oli combustibili esenti da imposte di fabbricazione), sia in termini di regole di sistema. Con effetti negativi per lo Stato, per i prezzi praticati e per la redditività delle imprese. Questo si manifesta in termini di concorrenza sleale e dumping contrattuale, producendo una contrazione della redditività per il sistema che si riflette sui mancati investimenti, anche in termini di innovazione dei prodotti meno inquinanti.
La maggioranza degli impianti su strada- circa il 60%-è nella tenaglia dell’illegalità come descritta.
Occorre liberare la maggioranza dei gestori
Manca di fatto un sistema di regole e controlli sulla qualità dei carburanti meno inquinanti, si schiacciano e si precarizzano i rapporti con le gestioni degli impianti stradali di carburante, violando apertamente e in modo diffuso norme di settore sugli affidamenti e la normativa sul lavoro, nel silenzio degli operatori strutturati e delle istituzioni di controllo oltre che governative, Mise in testa. Si fa sempre più ricorso, sugli impianti dei privati, al caporalato petrolifero, in violazione della normativa sulla tutela del lavoro (assistenza, salario minimo, condizioni contrattuali…)
Si ricorda che la remunerazione dei gestori è regolata dalle leggi dello stato ( D.Lgs. 32/98; L. 57/2001; L.27/2012) che espressamente la demandano alla contrattazione tra le parti. Mentre le grandi compagnie stanno nelle regole, l’altro 60% evade la normativa, fa dumping contrattuale, abusa della posizione economicamente dominante ed impone contratti da schiavitù. Siamo al caporalato petrolifero.
Una nuova contrattazione. Occorre ridare legalità al 60% della rete. Per rilanciare il settore e ridare legalità occorre riaffermare il rispetto delle regole del settore.
Oggi con l’avvento di tanti piccoli operatori è diventato difficile fare accordi/contratti con tanti imprenditori diversi, quasi un migliaio. Impensabile per Faib e Fegica e Figisc fare 1000 accordi.
Occorre stabilire in forza di legge, con contrattazione nazionale tra la rappresentanza dei gestori e la rappresentanza dei titolari di autorizzazioni (compagnie e retisti) un costo di distribuzione valido erga omnes quale remunerazione minima del lavoro inteso come costo di distribuzione. Sulla base di questo poi le associazioni possono contrattare, come avviene già oggi, il margine dei gestori per singole compagnie/retisti, andando a disciplinare politiche incentivanti, modalità di vendita per singoli operatori/marchi, modalità gestionali degli impianti. Occorre partire, infatti, dai contratti in affidamento e dalla negoziazione con le parti sociali, per giungere al diritto ad un prezzo di vendita equo e non discriminatorio, affermando nel contempo il diritto al riconoscimento condiviso di un margine necessario a sostenere la distribuzione carburanti, anche riducendo costi eccessivi e che impropriamente gravano sulle gestioni degli impianti – come le carte di credito e debito.
L’obiettivo non può che essere quello di prevedere un costo di distribuzione come quello che si sta profilando per alcune categorie di lavoro autonomo.
Si propone a tal proposito una revisione normativa della L. 57/2001 che introduca il costo di distribuzione.
Emendamento
(Norma suppletiva degli accordi aziendali ex art. 19 legge n. 57/2001)
Art. x
1. Dopo il comma 3 dell’art. 19 della legge 5 marzo 2001, n. 57, sono inseriti i seguenti commi:
3-bis. In assenza della definizione degli accordi aziendali di cui al comma 3, l’individuazione, nell’ambito dei rapporti economici fra le parti ed in relazione ai criteri di formazione dei prezzi di vendita, dello sconto spettante ai soggetti di cui all’art. 1, comma 6, del D. Lgs. 11 febbraio 1998, n. 32, sul prezzo di vendita quale corrispettivo per l’attività prestata, il trattamento economico degli stessi soggetti è assicurato mediante riferimento ad un valore non inferiore a quello degli sconti medi riscontrabili negli accordi già depositati presso il Ministero dello sviluppo economico, ai sensi della medesima norma. Il Ministero dello sviluppo economico, annualmente, determina il valore di riferimento e ne dà pubblicità sul proprio sito istituzionale.
3-ter. Il rispetto dello sconto, come sopra definito, riservato ai soggetti di cui all’art. 1 comma 6 del Decreto leg.vo 11 febbraio 1998 n. 32 è considerato quale componente essenziale al fine di assicurare una corretta e leale concorrenza ispirata alla necessità di fornire al consumatore finale adeguata tutela e trasparenza, prezzi e servizi competitivi, qualità dei prodotti . Qualora il titolare di autorizzazione, concessione o fornitore che non abbia proceduto alla definizione dell’accordo aziendale teso alla regolazione dei rapporti economici, pratichi ai soggetti di cui all’art. 1, comma 6, del D. Lgs. 11 febbraio 1998, n. 32, uno sconto inferiore al valore determinato dal Ministero dello sviluppo economico, fatto salvo quanto previsto al comma 9 della legge 18 giugno 1998 n.192, gli stessi soggetti direttamente o per il tramite della propria associazione di rappresentanza, segnalano formalmente il fatto al Ministero dello sviluppo economico, il quale provvede ad informare le competenti Autorità per l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di euro 10.000 ad un massimo di euro 100.000. Nei casi di recidiva, la relativa autorizzazione/concessione potrà, previa diffida, essere revocata. Le norme contenute nei presente comma sono da intendersi quali norme a tutela della concorrenza. Le Regioni provvedono entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore a recepirle nelle disposizioni regolamentari di propria competenza.