In un mercato come quello dei carburanti, affetto – oltre che da una fiscalità opprimente e recessiva per i consumi che pesa per 24 centesimi/litro più della media della Europa Comunitaria – dalla gigantesca anomalia della differenza tra le condizioni di accesso al prodotto, si possono avere regole semplici che ripristinino una minima correttezza commerciale tra operatori senza attentare alla così detta libertà del mercato?
La risposta è le che regole semplici sono possibili, necessarie, applicabili senza le infinite lungaggini di ulteriori improbabili riforme del settore, semplicemente a partire da fatti concreti che stanno dentro il mercato e dentro i fattori del prezzo, senza invadere in maniera dirigistica gli assetti e l’evoluzione del mercato stesso.
Ciò che ha portato al collasso economico la categoria dei gestori è stata una politica commerciale delle compagnie che ha creato e fatto crescere una concorrenza drogata e «controllata», basata sulla discriminazione sempre più accentuata delle condizioni di accesso al prezzo del prodotto con il doppio mercato rete-extrarete.
In questa operazione – calo dei consumi a parte – le compagnie hanno puntato a mantenere le vendite complessive dei due circuiti [ma i rapporti sono cambiati: nel caso di Eni, ad esempio, dieci anni fa le vendite in rete erano il 51 % delle vendite totali, l’anno scorso sono scese al 44 % contro il 56 % dell’extrarete] svendendo prodotto che finisce sulla rete a prezzi di extrarete e scaricando i costi economici e sociali solo sulle proprie reti di marchio, verso cui l’interesse dell’industria petrolifera, già fortemente propenso a terziarizzare investimenti e distribuzione – al punto da avere essa stessa creato la rete bianca alternativa -, è diventato ormai pressoché pari a zero.
I risultati, di mercato, economici e sociali di questo processo decennale sono sotto gli occhi di tutti: la rete di marchio ha perso più di una decina di miliardi di litri di cui la rete bianca ha recuperato la metà [quel che manca è dato dalla caduta dei consumi dovuta alla crisi economica ed alla rapacità fiscale dello Stato]; gli utili di bilancio delle divisioni retail delle compagnie sono spariti, i gestori sono stati buttati in massa sul lastrico perché non può reggere un conto economico a margini dimezzati ed erogati crollati, l’occupazione ha avuto durissimi colpi. Un bilancio del tutto fallimentare di politiche del tutto irresponsabili e prive di ogni visione di prospettiva.
Sul piano dei numeri veri in ballo, una mano di statistiche sui prezzi nel 2014 ci dice che i prezzi della rete di marchio [facendo una media di quanto si vende al servito ed alle diverse modalità, più o meno spinte, di self e non prendendo a riferimento il solo servito per il quale la differenza arriva fino ai 17 cent/litro] sono superiori di circa 10 cent a quelli della rete bianca.
Dietro questa differenza ci sta che sulla rete le compagnie vendono a prezzi da extrarete agli indipendenti il medesimo prodotto che vendono a 16 cent/litro in più al gestore del proprio impianto di marchio; con questo gap di partenza il gestore ci aggiunge ancora circa 4 cent/litro per coprire costi e generare un minimo margine, gli indipendenti mediamente ci aggiungono 10 cent/litro [tutti gli importi di cui parliamo sono comprensivi di Iva] per coprire costi, ammortamenti e sviluppare un margine: torna così la differenza di 10 cent sul prezzo finale, una differenza che mette fuori mercato l’impianto colorato a prescindere da qualunque intervento di difesa mercato venga imposta al gestore.
Tutte cose note. Ciò che è meno noto – ed è comunque ciò su cui si deve intervenire subito e con strumenti di regole commerciali semplici ed eque -, è da cosa si origini la differenza di 16 cent/litro che rappresenta quella macroscopica anomalia nelle condizioni di accesso al prezzo che sostanzia la discriminazione tra operatore indipendente e gestore dell’impianto di marchio.
Per intenderci bene: è commercialmente corretto che chi fa investimenti in proprio ed autonomamente assume il rischio del mercato [è il caso dell’operatore indipendente] abbia condizioni di mercato più favorevoli sul piano del prezzo di cessione. Ma è invece una violazione delle regole di concorrenza se tale condizione di favore per l’operatore indipendente è artificiosamente determinata dal fornitore discriminando solo l’operatore non indipendente – cioè il proprio gestore, cui viene a tutti gli effetti ceduto il prodotto – mediante la sistematica e progressiva penalizzazione di un prezzo di cessione su cui sono scaricati tutti i costi del sistema senza alcuna proporzione e distinzione rispetto alla totalità degli operatori presenti sulla rete.
Mediamente oggi – conti alla mano, e sulla base di una stima dei costi che non è nostra, ma che ricaviamo dai documenti di Nomisma elaborati per conto di Unione Petrolifera – vi sono quasi 5 cent/litro [quasi un terzo di quel famoso delta di 16 di cui si è detto qualche riga più sopra] attinenti, per la precisione, a costi di logistica e di gestione generale che gravano esclusivamente sul prezzo di cessione ai gestori, che solo su questi sono caricati, nonostante siano di competenza di tutti gli operatori che sulla rete pubblica sono riforniti dalle compagnie.
Questi costi – che oggi costituiscono uno strumento di discriminazione, determinando lo storno di erogati e clientela ad esclusivo discapito di una categoria di operatori causandone il default economico – se correttamente ripartiti – e siamo disposti a dimostrarlo – in base alle rispettive quote di vendite consentirebbero un limitato abbassamento del prezzo di cessione per gli impianti di marchio, ma contemporaneamente l’assunzione di un costo – che non si capisce perché all’operatore indipendente, che opera dentro il sistema ed è rifornito dai medesimi soggetti, non si debba far pagare -, tale da ridurre il gap dei prezzi finali a termini assolutamente ragionevoli ed ulteriormente riducibili con razionalizzazioni di rete e di costi a loro volta generati da questa specie di perversione contabile, ridando mercato alla rete colorata, ripristinando volumi e ridando fiato alle gestioni, e ristabilendo una minima correttezza di regole in questo settore.
Perché la concorrenza – ammesso che questo sia il suo nome – che finora si è creata su questo mercato [e questa è l’epigrafe sulla lunga e dolorosa stagione di politiche commerciali delle selfizzazioni più o meno spinte e sulle difese mercato scaricate sui gestori] si è esclusivamente basata su una premeditata e volonterosa discriminazione tra operatori attuata direttamente decidendo a chi rifilare alcuni fattori di formazione del prezzo ed a chi toglierli, non sulle regole di mercato: una vera e propria concorrenza drogata ed artefatta con trucchetti da gioco delle tre carte e non sulle effettive condizioni della competizione, sulla quale finora si è preferito non indagare affatto, facendo prevalere omertà, colpevole silenzio e spesso inutile e fuorviante propaganda.
E se questo vale in un contesto di competizione tra rete di marchio e rete bianca, analoghe considerazioni possono valere in un contesto più ristretto, quello della rete di marchio, in cui l’industria petrolifera diffonde negli impianti automatizzati così detti ghost dei prezzi – con il chiaro intento di stornare volumi dalla rete presidiata – che non hanno assolutamente fondamento economico sul piano dei costi e meno che mai in relazione al costo del gestore, che incide per meno di un terzo/un quarto rispetto allo sconto offerto su tali impianti. Di altro non si tratta che di una evoluzione perfettamente in linea con le perversioni del sistema, che null’altro evidenzia se non l’intento di recuperare effimeri erogati e cancellare costi [il guardiano a 5 euro/metro cubo], non già correggendone le anomalie e cercando di ridare spazio alla rete marchiata, ma puntando infine alla più radicale semplificazione del sistema, l’eliminazione di quella categoria che pure finora era stata utile per scaricare i costi della creazione di una falsa concorrenza.
Tutto questo può ancora essere corretto e si può invertire la tendenza?
Non serve certamente ricorrere alla riformulazione dei massimi sistemi, ricercare la ennesima liberalizzazione, tornare ad un regime di prezzi amministrati, scindere filiere od espropriare nessuno, serve ristabilire un minimo di regole: a tutti coloro che operano sul mercato va garantito il diritto/dovere di poter competere correttamente in funzione dei ruoli svolti. Questo è l’alfa e l’omega della questione.
In sintesi: «nella formazione del prezzo di cessione del prodotto, i fornitori non possono applicare condizioni differenziate, ad eccezione della stretta attinenza alla proprietà dell’impianto e dell’uso del marchio, tra gli operatori della rete distributiva pubblica che riforniscono».
Questo è quanto andrebbe aggiunto alla norma in cui è già da tempo scritto che si debbono garantire condizioni eque e non discriminatorie per competere sul mercato, [e che, in sostanza, anche le normative europee prevedono]: tutte belle parole al vento, anzi persino irrisorie, se non sono riempite di contenuti veri, che però possono essere introdotti subito e senza sconvolgere nessun assetto. Da qui comincia la concorrenza, una cosa seria e ben diversa dalla caricatura grottesca e scomposta che sinora è stata venduta per tale.