Eni R&M, lasciate passare due settimane dal precedente incontro [1° aprile], in data 14.04 ha riconvocato le Organizzazioni di Categoria per la settimana prossima – data martedì 22.04 -, per illustrare e discutere la famosa bozza di accordo che, secondo gli impegni presi reciprocamente nell’ultima riunione [sempre del 1° aprile si parla], l’azienda avrebbe dovuto predisporre con la massima sollecitudine. Si parla di un accordo scaduto il 31.12.2011: sono passati ormai quasi ventotto mesi dalla sua scadenza naturale, un tempo lunghissimo [ricordiamo però il precedente dell’accordo scaduto il 31.12.2006, che venne rinnovato solo quasi a fine luglio 2009], ma assolutamente ingiustificabile in considerazione di quanto è accaduto durante e dopo la scadenza del 31.12.2011, con l’escalation della guerra dei prezzi, il dilagare delle forniture a prezzi di extrarete progressivamente in ribasso in diretta concorrenza con i gestori di marchio, la decurtazione del margine per le varie e crescenti forme di forzosa «difesa mercato» [cluster, iperself a mezzo od intero servizio], la pressione esercitata direttamente sulle singole gestioni, il crollo dei consumi generali e degli erogati di marchio, la progressiva derogazione dagli accordi e la ricerca di scorciatoie contrattuali. I risultati, sotto gli occhi di tutti, sono la crescita esponenziale dell’indebitamento e dell’esposizione dei gestori, il fallimento di tantissime imprese di gestione, l’abbandono di centinaia e centinaia di impianti, la più totale difficoltà di chi è restato a continuare la propria attività, con tutte le peggiori conseguenze di natura economica, occupazionale, patrimoniale ed infine umana e personale. Il tutto inserito in un contesto di crisi economica generale che non offre alternative di sorta. E va necessariamente ricordato che questo non è solo il contesto di Eni, per quanto l’azienda sia il market leader in Italia e, quindi, costituisca un modello di riferimento e una valenza anche simbolica, per quanto lo Stato sia il suo azionista di riferimento al 30 % ed eserciti il diritto di nominarne i vertici [che è quanto accaduto proprio in questi giorni]: cose, queste ultime due, che dovrebbero far ben riflettere su tanti risvolti della vertenza in atto tra gestori ed azienda e non solo per sperare di averne una qualche forma di tutela. Nella quasi totalità le aziende petrolifere private fanno a gara per non rinnovare gli accordi, per giocare al ribasso, per ghettizzare o espellere il gestore dalla rete, per eludere le norme contrattuali, anche se ciò spesso passa sottotraccia rispetto all’azienda di Stato. La trattativa con l’azienda per rinnovare il contratto scaduto è partita alla metà giugno 2013 e tra stop and go continui, colpi di scena sui ghost, ragionamenti sui numeri e/o sulle regole, proposte avanzate dalle Organizzazioni di categoria, interruzioni di tavolo, proclamazione dello sciopero di colore, si è arrivati alla necessità di dover chiedere al Ministero dello sviluppo economico di attivare la procedura di mediazione delle vertenze collettive – un intervento che portò alla sospensione dello sciopero proclamato per i primi di marzo -, procedura avviata il 27 febbraio 2014 [e neppure questa è una novità: il 3.12.2008 accadde, sempre con Eni, la stessa cosa; l’accordo, come già ricordato, si sottoscrisse quasi a fine luglio 2009]. Il Ministero convocò ai primi inizi di marzo Faib, Fegica e Figisc, non convocò la controparte, ma intervenne presso l’azienda per sapere se avrebbe ripreso la trattativa interrotta: avutane una risposta affermativa, chiese di «essere informato» sulla prosecuzione della vicenda. Ma siamo ancora al palo, con l’azienda che nel frattempo ha tirato fuori la partita del contratto di commissione, da utilizzarsi in determinati casi, anche se non da generalizzarsi per sostituire quello di affidamento in gestione oggi vigente. Condizionante questo contratto per chiudere l’accordo su tutto il resto o no? Intanto su questo ci si è incagliati per altro tempo ancora, anche se è assolutamente chiaro che le norme di legge impongono che i nuovi contratti si fanno solo con un accordo tra Unione Petrolifera ed Organizzazioni di categoria, cosa che, peraltro, non è ancora affatto definita [e non per colpa, beninteso, delle associazioni dei gestori che una tipologia contrattuale di commissione l’hanno già sottoscritta con Assopetroli]. Di tutto ciò il Ministero è stato regolarmente informato ed è rimasto, come si potrebbe dire, in prudente attesa di sviluppi tra le parti. Nell’imminenza dell’incontro del 22 aprile, gli amici di Faib e Fegica hanno scritto nuovamente al Ministero per chiedere che convochi tutte le parti del tavolo. Pur condividendo con le altre associazioni tutte quante le ragioni di doglianza verso l’azienda, ed in particolare l’ingiustificato protrarsi dei tempi da parte di Eni nel presentare la proposta dell’accordo che si era impegnata a produrre nella riunione del 1° aprile, Figisc ha ritenuto di valutare direttamente le proposte e l’atteggiamento dell’azienda in occasione della riunione convocata per il 22, subito dopo le festività pasquali. Vi sono almeno due ragioni per un distinguo – che non costituisce in alcun modo neppure lontanamente uno strappo dell’unità delle tre sigle associative: – la prima è che si deve guadagnare tempo e non perderne ulteriormente: prima si chiarisce fino in fondo quale è la proposta finale dell’azienda, prima si decide cosa fare se e quando non ci siano più eventualmente spazi per un accordo onorevole; – la seconda è che il sindacato deve fare il suo mestiere in prima persona trattando con l’azienda fino dove è possibile farlo, sapendo che nessun altro tratterà in sua vece e che qualunque «mediatore» potrà esercitare [non per disinteresse ovvero per superficialità, sia chiaro, ma per precisi limiti di competenza] al massimo una pressione per continuare a trattare, ma non definire al posto del sindacato i contorni economici e/o normativi della trattativa [salvo per quanto riguarda i nuovi contratti, sui quali la legge è molto chiara e va solo applicata, finché qualcuno non la cambierà in peggio]. Infine una considerazione di fondo. Perché l’azienda «allunga il brodo» dei tempi? Perché non vuole firmare un accordo? Ovviamente non certo perché i contenuti dell’accordo siano così vantaggiosi per i gestori al punto che Eni non voglia concedere tali vantaggi. I contenuti economici dell’accordo saranno figli di questi tempi di crisi del settore: per usare un’espressione che non siamo proprio stati noi a coniare in riferimento alla vicenda ENI, saranno più simili ad un «accordo di solidarietà». In realtà, invece, ogni giorno che passa l’azienda continua ad esercitare pressioni sulle gestioni, a rullare terreno, a far desistere, fuggire, fallire gestori. Ed a confidare – se ancora forse non di sicurezza assoluta si tratta – che qualcosa cambi anche nelle norme, oltre che nel mercato, per darle ancora maggiore flessibilità e libertà di manovra [ricordiamoci delle posizioni di Antitrust sulla contrattazione]. E quindi non può che trarre vantaggio dal perdere tempo. Invece i gestori che patiscono possono solo peggiorare il loro gravissimo svantaggio. Ma le organizzazioni di categoria – al di là di quanti hanno dichiarato che lo avrebbero firmato subito, se non ci sarà di mezzo l’inghippo del contratto di commissione – vogliono davvero firmare un accordo «di solidarietà»? Se in contropartita ci fossero un riposizionamento del gestore, la moderazione della guerra dei prezzi, regole più eque su prezzi di cessione dentro i bacini territoriali e di utenza, forse sì, perché sarebbe meglio avere un accordo con alcuni limiti piuttosto che solo una guerra infinita. Ma questa è cosa che deve decidere il «sindacato» in prima persona, rischiando la sua faccia e credibilità. Lo deve sapere fin d’ora, al di là delle schermaglie formali o delle pastoie politichesi. Anzi, non può neppure dire che non lo sa ancora. E, soprattutto, non deve – purtroppo, neppure può – sperare che il mestiere del «sindacato» lo faccia qualcun altro al suo posto.