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DOPO LA “PAUSA” AL CONSIGLIO DEI MINISTRI SUL DDL, IL MIMIT RICONVOCA IL “TAVOLO”

Dopo la pausa di riflessione, richiesta nel CdM di mercoledì dalla Premier, sul ddl di riordino del settore, il MIMIT torna a riconvocare il “tavolo” di filiera per martedì 10 settembre.

I protagonisti – dal lato non istituzionale – saranno gli stessi che hanno lungamente discusso sui temi della riforma, in primis delle tematiche della contrattualistica aziende-gestori, per cui si riparte dai nodi che hanno bloccato il tavolo, ma si riparte per arrivare dove?

Dal lato istituzionale, i ministeri hanno prodotto un testo che non ha affatto sciolto tali nodi, né ne ha tratto una equa mediazione che contemperi i giusti interessi di TUTTE le parti, o, almeno, una sufficiente tutela della parte più debole nel rapporto economico (la sostituzione degli “appaltatori” con i “terzi fornitori di servizi” non appare proprio la soluzione del problema).

Perché la soluzione non è affatto sostituire una brutta parola con un suo sinonimo più elegante.

Sulla vicenda del ruolo del “benzinaio” nel ddl (lo chiamiamo così, perché chiamarlo “gestore” genera qualche confusione – su cui torniamo fra poco – specie alla luce del testo dell’articolo 3), si possono avere opinioni diverse:

  • si può opinare che i ministeri siano esattamente consapevoli di cosa comporta tale nuova norma e quindi abbiano consapevolmente scelto di accontentare i “poteri forti” della filiera (e quindi tra quanti si presenteranno al tavolo c’è chi ha già la carta vincente nella manica e scarsa propensione a trattare al ribasso);
  • si può anche opinare che si sia abusato – da parte degli stessi “poteri forti” – della buona fede del Governo (buona fede combinata con una conoscenza poco approfondita del settore, in cui vigono regole del tutto avulse dall’ordinario contesto delle attività commerciali, regole spesso difficili da comprendere per i non addetti), con il “suggerimento” di una norma (“Per la conduzione operativa degli impianti, i soggetti cui è affidata la gestione degli impianti di distribuzione possono avvalersi anche di proprio personale, o di terzi fornitori di servizi”), formulata in forma anodina, che sembra una norma erga omnes, ma che in realtà è precisamente finalizzata ad un esclusivo interesse.

Il trucco (o se si preferisce la spregiudicata “alzata di ingegno”) sta nel radicale sovvertimento del quadro complessivo delle relazioni aziende-gestori e loro associazioni di rappresentanza.

Prima (e tuttora ante ddl) sussisteva un rapporto bilaterale diretto tra l’azienda e tanti terzi quanti i punti vendita – terzi identificati come “gestori” nell’accezione tradizionale del termine nel settore – nel quale le condizioni economico-normative della relazione erano stabiliti da accordi collettivi per il tramite delle associazioni di rappresentanza dei gestori stessi.

L’alzata di ingegno sta nell’aver fatto una capriola logica sulla parola “gestore”: si generano, infatti, da parte delle aziende società da esse interamente controllate cui viene attribuita la qualifica di “gestore collettivo” della rete in proprietà; il gestore collettivo unico soppianta i tanti gestori “diffusi”, che vengono dismessi ovvero, nel migliore dei casi, dequalificati come meri “prestatori d’opera” ed il rapporto che si crea è “gestore collettivo”-“prestatore d’opera”, perdendosi il rapporto diretto con l’azienda, e superando così – con la dismissione dei contratti tradizionali – anche lo scoglio negoziale collettivo, con la neutralizzazione delle organizzazioni di rappresentanza.

E tutto ciò – si noti! – in apparente pieno ossequio al decreto legislativo 32/1998: o si gestisce in proprio o si affida l’impianto ad un gestore, che in questa versione diventa il “gestore collettivo” di diretta emanazione aziendale, una variante ardita che nel 1998 non poteva passare neppure per l’anticamera del cervello si potesse realizzare con così poca fatica, sia pure con fantasia creativa.

In sostanza, si tratta di un abile gioco delle tre carte, che notoriamente premia solo il “banco”.

Alla ripresa del tavolo, dunque, gli interrogativi sono:

  • torneranno di nuovo col gioco delle tre carte, rendendo così quasi impossibile trovare una sintesi condivisa?
  • e ancora, il Governo intende tenere mano al banco oppure è consapevole, o almeno lievemente sospettoso, di essere stato tirato dentro un gioco delle tre carte, insomma, ci è o ci fa?