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“LITURGIA” DEI TAVOLI: SCEGLIAMO ALMENO I SALMI GIUSTI

Saltiamo pure tutta la trita storia dei tentativi di ristrutturazione della rete distributiva nazionale, iniziata sin dagli anni ’70 dell’altro secolo, per arrivare all’ultima “ristrutturazione” del comparto (o, meglio, solo alla ultima produzione normativa inerente al tema): il 13.12.2013 il Governo, in un collegato alla Legge di stabilità per il 2014, prevedeva la chiusura degli impianti c.d. “incompatibili” ai fini della sicurezza stradale (questo l’unico succo della norma); questa ennesima release della ristrutturazione vagò, fra complessi tavoli di consultazione orizzontale e verticale, Commissioni parlamentari ed incertezze varie sul veicolo legislativo da utilizzare, fino al 2 agosto 2017 (tre anni, sette mesi e venti giorni dopo!), quando fu infine approvata dopo che aveva trovato spazio in una delle periodiche versioni del disegno di legge “Concorrenza”…

Oggi sul tavolo “pendente” al MiMIT (“pendente”, chiamiamolo così, in quanto il Ministro dice di attendere indicazioni dal Parlamento, ossia dalle Commissioni parlamentari, in cui girano alcune risoluzioni sulle tematiche del comparto) l’argomento ristrutturazione è, di nuovo, ancora all’ordine del giorno.

Analogo “amarcord” potrebbe applicarsi alla rete autostradale, su cui, in una situazione sempre più marcescente fino alla decomposizione, i tavoli scaturiti dalle agitazioni della seconda metà del 2012 hanno prodotto un Piano di ristrutturazione sostanzialmente inutile, che risale peraltro al 2015, che è in via di revisione per “trascorso biennio” (proprio così!), revisione le cui anticipazioni annunciano la rinuncia alle chiusure di aree di servizio, persino alle pochissime chiusure previste nel 2015.

Anche qui al MiMIT dovrebbe partire oggi un tavolo, persino più urgente dell’altro.

Potremmo anche parlare della contrattualistica, o, meglio, dei rapporti economici e degli strumenti che regolano i rapporti nella filiera, tra proprietari/fornitori e i c.d. “gestori, ossia le microimprese che materialmente gestiscono la fase terminale della distribuzione sugli impianti: affidata alle note “norme speciali” di settore ed alla sostanzialmente “libera e spontanea” determinazione delle parti in via consensuale con la legge 27/2012 – norma largamente inesplorata stante la sua genericità e mancanza di strumenti per attuarne i fini -, la tematica aveva ripreso quota dopo la Risoluzione De Toma del 2019, poi si è smorzata in Commissione X^ della Camera in una versione unanimistica  finale del tutto depotenziata rispetto ai suoi contenuti originali.

Oggi ritorna un po’ visibile, perché contenuta nelle nuove risoluzioni che girano in Parlamento, ma che possa diventare oggetto di discussione al tavolo MiMIT non è ancor dato indovinare.

Insomma, quella dei tavoli (chiamateli di “concertazione”, termine che non sembra più andare di moda perché allude ad un compromesso, oppure chiamateli di “consultazione”, che significa che un Governo “sente” le parti interessate, ma non è detto che “ascolti”) è una vera e propria liturgia ricorrente: almeno nella liturgia ecclesiastica ci vuole un anno per sviluppare un percorso intero di antifone, letture e salmi, disposto secondo significanza dei singoli tempi liturgici in cui l’anno è diviso; nel nostro caso, invece, i salmi in lettura  sono sempre gli stessi, come non fossero mai stati noti prima  (e spesso sembra non si sia capita neppure l’antifona!), con una scarsa speranza anche di un minimo accrescimento delle virtù teologali dei partecipanti alla funzione.

In tema di ristrutturazione, ad esempio, la questione non può essere riproposta nei termini delle storiche “incompatibilità” (sostanzialmente ancora quelle del 2001 del Ministro Marzano), perché le questioni sono di ben altra portata. Oggi si tratta di decidere se una rete, sia pure pletorica, inefficiente e persino strutturalmente obsoleta, estremamente polverizzata, financo infiltrata dall’illegalità, abbia ancora una chance di poter continuare, con i dovuti correttivi, ad avere una funzione per il tempo presente e per quello futuro anche rispetto ai processi della transizione verde, oppure debba essere lasciata andare, per dissoluzione lenta e spontanea, in perenzione, accettando di mandare al macero nei prossimi dieci-quindici anni asset ed investimenti, facendone una mera questione di bonifiche su scala complessiva dei siti dismessi. Si tratta di decidere se continuare nel laissez faire del mercato spicciolo, nel caso si lasci al suo destino la rete, ovvero, nel caso di salvaguardarne un ruolo attivo e progressivo, ragionare se – sapendo di aver bisogno di investimenti ed investitori per adeguarla alla famosa transizione – sia necessaria una “pulizia” del comparto con un rafforzamento qualitativo dei requisiti di chi vi opera, nell’ottica di perseguire legalità e capacità di innovare (argomento più solido delle consuete manfrine sulla nota “libertà assoluta di stabilimento”).

[A margine: i Paesi OPEC+ stanno perseguendo una politica di tagli produttivi per sostenere i prezzi indubbiamente, ma anche perché sostenere i prezzi vuol dire sostenere gli investimenti – perfino per loro! – per una domanda che è ancora destinata a durare, perché così ancora va e andrà ancora per un po’ il mondo (che non è la sola Europa, molto motivata a dismettere tutto per sostenere ideologicamente un suo ruolo ambientalista spinto, che tanto sembra una nuova versione politically correct, tutta culturale questa volta, del vecchio “colonialismo” europocentrico economico-militare dei secoli che furono).]

In tema di autostrade, sempre ad esempio, la questione non sono gli arzigogoli giuridico-burocratici dei bandi di assegnazione dei servizi nel regime di concessione, ma se ridare ruolo o lasciar morire il comparto. Sappiamo che nella rete autostradale – anch’essa ridondante ed inefficiente – tutti ci perdono, e per tutti intendiamo gli operatori della vendita di beni e servizi, dalle grandi imprese, ai marchi petroliferi ed infine ai benzinai che materialmente erogano carburante, e di riflesso i consumatori per effetto degli alti prezzi che ne azzerano la competitività, tranne i Concessionari che, oltre ad avere garantite generose equity, sono garantiti nella determinazione dei pedaggi e, non paghi, sono in diritto di percepire esose royalties che hanno falsato ogni concorrenza sui prezzi con una conseguente flessione delle vendite di servizi ed un crollo verticale di quelle dei carburanti.

Si tratta, pertanto, di cercare di riequilibrare il mercato e la concorrenza eliminando le rendite che ne falsano le dinamiche, ovvero di lasciar andare, anche in questo caso, in perenzione tanto imprese che strutture materiali (che per inciso non si rinnovano se le risorse in investimenti sono destinate a remunerare le rendite di chi NON vi investe)?

Infine, in tema di relazioni economico-contrattuali tra i proprietari/fornitori della rete ed i gestori dei singoli impianti vogliamo cogliere come centrale il fatto che non è bastata la “libera e spontanea contrattazione tra le parti” per rimuovere quell’abuso “ordinario” di dipendenza economica che contraddistingue il quadro di queste relazioni?

Perché nel comparto esiste una anomalia che evidenzia a tutto tondo l’abuso di dipendenza economica: mentre nella parte “alta” della distribuzione la differenza tra indipendenti e marchi integrati sta nel fatto per i primi la determinazione del prezzo finale è in disponibilità autonoma dell’operatore a valle del rapporto col fornitore che pure impone loro un prezzo di cessione, mentre i marchi integrati, svolgendo la doppia funzione di fornitori ed acquirenti determinano in entrambe le due parti della filiera, a monte ed a valle, il prezzo di cessione e quello di vendita; invece, nella parte “bassa” della distribuzione, il “benzinaio” è un soggetto che ha una sua specifica gestione economica (è un’impresa, almeno di nome o come finzione giuridica) senza alcuna autonomia di gestione del prezzo d’acquisto e di quello di vendita, ed il cui margine è sostanzialmente condizionato dal delta di prezzo imposto tra le modalità di servizio, dalla quota di vendite nella modalità a prezzo più alto (e quindi largamente minoritarie sul totale) e da una pressione concorrenziale che non è in grado di controllare e gestire se non in via indiretta a seconda dell’arbitrio del fornitore e proprietario dell’impianto.

Tutto è stato “liberalizzato” in questo settore, fuorché queste relazioni.

Si possono riprodurre tavoli su tavoli, perpetuando liturgie ormai consuete o forse anche logore – nonostante un tavolo sia meglio di una imposizione autoritaria -, ma perché abbia effetto la liturgia serve almeno “cantare i salmi” giusti, perché non sia un inutile ed ipocrita biascicare vuote formule. Sarebbe stato almeno tempo meglio guadagnato, se avessimo dedicato alle cose serie anche la metà del tempo e dell’energia dedicata a discutere del celebre “cartello” dei prezzi.

Sul quale ci permettiamo un ultimo appunto: se si vuol cercare ancora la “speculazione” – intento del tutto legittimo, s’intende, e perfino lodevolissimo – la si vada a scovare non certo da chi NON PUÒ proprio, non che farla, neppure immaginarla, la si cerchi semmai nei meccanismi di formazione dei prezzi da appena più a monte della pompa del benzinaio.

FIGISC ANISA CONFCOMMERCIO