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TRA CARTELLI, ACCISE, INDAGINI, OPEC+ E POLEMICHE SUI PREZZI SI PARLA ANCORA DI BENZINA E GASOLIO

In Europa (almeno quella comunitaria) si prosegue imperterriti a fissare obiettivi per la transizione, con notevole noncuranza su ciò che un tanto significa in termini di costi economici e sociali, o sul piano della dipendenza dalle nuove risorse che sono in mano ad altre parti del mondo (che sembra continuare anche fuori dall’Europa nonostante la convinzione di quest’ultima di essere, almeno in prospettiva, “il migliore dei mondi possibili”). Si affronta la querelle sulla parziale accettazione degli e-fuel, ma si escludono i biocarburanti, con l’evidente dimostrazione che anche in questo “migliore dei mondi possibili” esistono, come altrove, soggetti forti che possono imporre, con scarso senso di inclusività (cosa del resto già successa con il gas!), correzioni di rotta per difendere esclusivamente i propri stretti interessi.

Ma tralasciando tutto questo per un attimo, in Italia, al livello terra terra – della quotidianità e dello stretto senso comune – sono ancora i prezzi dei vituperati carburanti fossili a tenere banco.

Non si è ancora chiusa la “ferita” dell’aumento, o del ripristino (a seconda del sentiment anti o pro-governativo), delle accise, a lenire la quale si è spalmato

  1. a) l’unguento del contestato cartello del “prezzo medio”;
  2. b) il placebo dell’impegno a valutare se si possa pensare ad una rimodulazione del carico fiscale.

Del primo, diciamo, rimedio, si è già detto tutto e di più rispetto alla sua inconsistenza e vacuità: si deve inghiottire il boccone amaro delle accise, ma tutto è sotto controllo, e se non è sotto controllo qualcuno sta mestando nel torbido, per cui si deve inventare un cartello del prezzo medio (un dato aritmetico astratto) del giorno prima (proprio cosi!) ed impiccare al lampione qualcuno per dare il buon esempio; niente di diverso dai cartelli inventati con la legge 99/2009, che – per chi avesse memoria corta – serviva a spingere la liberalizzazione della distribuzione (che sommate all’aumento delle accise del 2011 liberalizzò l’illegalità del settore!) e che però non sollevò dure ostilità neppure dalla categoria dei gestori. Insomma, quando si deve far finta di far qualcosa, esponiamo un cartello e mettiamoci vicino un vigile!

Del secondo, sempre diciamo, rimedio, consisterebbe nel rispolverare (lo prevede l’art. 2 della legge 23/2023) l’art. 1, commi 290 e 291, della legge finanziaria 244/2007, che dispone la rimodulazione delle accise nel caso in cui il prezzo del greggio superi il tetto fissato dal DEF con ciò generando un sovragettito dell’IVA. Secondo la Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2022 (NADEF Draghi-Franco, in aggiornamento già dai prossimi giorni) la quotazione del greggio per il 2023 è stimata in 89,9 dollari/barile al cambio euro/dollaro di 1,002, ossia in 89,7 euro/barile. Però, considerando che almeno nel primo trimestre 2023 la media della quotazione del greggio è stata di 81,1 dollari/barili, quella del cambio di 1,070, ossia 75,7 euro/barile, la rimodulazione delle accise di cui si narra ci pare un’aspettativa non proprio dietro l’angolo. Ma vi sono anche incognite su cui di seguito ritorneremo…

Intanto, l’Autorità garante del mercato e della concorrenza (per inciso, struttura con un organico di 274 unità, finanziata dalle società di capitale con fatturato annuo superiore a 50 milioni di euro con un contributo pari allo 0,058 ‰ del fatturato), ha avviato in data 24 gennaio 2023 una nuova (dopo quelle del 1996, 2001 e 2012) indagine conoscitiva (IC54 I prezzi dei carburanti per autotrazione – Dinamiche concorrenziali dall’estrazione alla distribuzione).

Secondo Antitrust «Le dinamiche dei prezzi dei carburanti in Italia osservate nel 2022 e nei primi giorni del 2023 hanno messo in luce come shock a livello internazionale, con effetti sulle quotazioni dei prodotti petroliferi, possano generare un impatto rilevante sui prezzi finali al consumo» – una circostanza assolutamente lapalissiana – e, dal momento che di sua iniziativa «Nel corso del 2022 l’Autorità, a seguito di numerose segnalazioni, ha svolto alcune analisi preliminari sulla dinamica dei prezzi al consumo nella prima metà del 2022, anche in rapporto all’andamento delle quotazioni internazionali», considerato che «Alla luce dell’attuale contesto di mercato, appare opportuno svolgere approfondimenti ulteriori tenuto conto della rilevanza e attualità del tema» (insomma, se ne parla molto e quindi ne parliamo anche noi!), conclude che «l’indagine conoscitiva è diretta ad approfondire le dinamiche concorrenziali delle fasi di estrazione e raffinazione, nonché ad analizzare le evoluzioni dei prezzi intervenute nelle diverse fasi della distribuzione, al fine di verificare l’esistenza di eventuali ulteriori spazi di intervento».

Di questa indagine (le associazioni di categoria dei gestori sono state già audite) non capiamo bene la finalità: gli “eventuali ulteriori spazi di intervento” sono funzionali a scoprire “cartelli” collusivi o a capire come funziona il trasferimento delle variabili internazionali di mercato sul prezzo finale? E, ancora, l’Autorità sarà interessata a liberalizzare astrattamente la rete od a capire quale limite al mercato rappresentino i meccanismi decisionali dal prezzo di fornitura a quello finale entro rapporti contrattuali di esclusiva? O, ancora, se davvero le filiere integrate collochino il proprio prodotto sulla propria rete esattamente al “prezzo Platt’s”, con il relativo effetto sulla dinamica dei prezzi terminali alla pompa? Infine, si fa un’indagine solo perché bisogna tenere “conto della rilevanza e attualità del tema”, insomma sull’onda della moda del momento, o ci si vuol davvero capire qualcosa?

In tutto questo contesto, ad alimentare le braci, OPEC+ ha deciso di ridurre la produzione dei greggi di 1,16 milioni di barili/giorno (cui si aggiungono 0,50 già ridotti dalla Russia, per un totale di 1,66 milioni di barili/giorno). Risultato: un balzo delle quotazioni del greggio Brent di 5,9 dollari/barile (5,1 euro/barile) in una settimana, e, per i prodotti raffinati del Mediterraneo, 4 cent/litro in più per il gasolio e 3,5 per la benzina. I maggiorenti OPEC sostengono che bisognava tagliare l’offerta e quindi aumentare il prezzo (“una misura precauzionale per sostenere la stabilità del mercato petrolifero“) per controbattere le speculazioni al ribasso – giocate sulle aspettative di un periodo recessivo dell’economia – dei mercati finanziari, mentre alcune banche d’affari si spingono a prevedere un prezzo del greggio a 95 dollari nel 2023.

Se tale dovesse essere il quadro, con l’inevitabile ricaduta sulle quotazioni dei raffinati e sui prezzi finali all’ingrosso ed al dettaglio, davvero ci sarebbero – per tornare al Belpaese – le risorse per poter rimodulare le accise (come previsto dall’art. 2 della legge 23/2023) in maniera sufficiente ad evitare una caduta della domanda come nel 2012? La risposta è quasi certamente negativa.

E sempre per rimanere alle nostre contrade, riecco di nuovo le organizzazioni dei consumatori con le polemiche sui prezzi: dice Assoutenti “Dopo la decisione di domenica dell’Opec+ di tagliare la produzione, le quotazioni del petrolio hanno registrato nelle ultime ore una tendenza al rialzo che tuttavia non giustifica in alcun modo i rincari dei listini ai distributori.  I prezzi del Wti e del Brent sono infatti del tutto in linea con le quotazioni registrate a inizio marzo, pari rispettivamente a 80 e 85 dollari al barile, e anche nell’ipotesi in cui il petrolio dovesse subire repentine fiammate, gli effetti alla pompa si vedrebbero solo dopo alcuni giorni”. Quindi “Il nostro timore, dunque, è che la ripresa della corsa della benzina sia legata all’incremento degli spostamenti in auto degli italiani in occasione delle prossime vacanze di Pasqua e del ponte del 25 Aprile. Per questo chiediamo al Governo di attivarsi tempestivamente, disponendo controlli da parte della Guardia di Finanza e di Mister Prezzi, tesi a bloccare sul nascere eventuali speculazioni a danno dei consumatori”.

Il complotto presunto è sempre quello: si approfitta delle feste in cui la gente si sposta di più per tirare un “pacco” all’automobilista e allora avanti con lo schieramento delle forze dell’ordine, i cartelli e la pubblica gogna, perché questo è il copione di questi rappresentanti dei consumatori.

Ma vediamo i prezzi del Ministero: Pasqua 2018, rispetto alla settimana prima i prezzi aumentarono di 0,007 euro/litro mediamente tra i prodotti; Pasqua 2019, sempre rispetto alla settimana prima si registrò un aumento di 0,008 euro/litro, media tra i prodotti; Pasqua 2020: non ci fu perché fummo chiusi a chiave per COVID; Pasqua 2021, rispetto alla settimana prima, calo medio di 0,002 euro/ litro; Pasqua 2022, calo medio di 0,009 euro/litro. E per Pasqua 2023? Aumento medio tra i prodotti di 0,007 euro/litro rispetto alla settimana antecedente, a fronte di aumento della quotazione Platt’s dei prodotti finiti mediamente di 0,038 euro/litro (cinque volte l’aumento alla pompa).

Eh sì, da noi si discute, più a sproposito che a proposito, ancora dei vecchi maledetti carburanti fossili: nonostante siano qualcosa di innominabile nei cieli dei Grandi dell’europolitically correct, qui sulla terra del popolo sono ancora pane quotidiano.