FIGISC: CARBURANTI, LA “RIFORMA” INUTILE DEL PROGRAMMA DI RIFORMA
Bisogna andare fino a pagina 83 del ponderoso documento di 144 pagine (in allegato formato PDF si può consultare e scaricare l’intero testo) predisposto dal MEF come allegato al Documento di economia e finanza, parte III, denominato “Programma Nazionale di Riforma”, Priorità 4 “Produttività, Competitività, Giustizia e Settore bancario”, Liberalizzazioni.
Giunti a tale pagina, si può trovare quanto testualmente segue:
«Liberalizzazioni
In Italia la crescita della produttività è insoddisfacente soprattutto nel settore dei servizi, in cui è necessario migliorare l’efficienza allocativa anche attraverso un alleggerimento della regolamentazione di svariati comparti, fra cui, ad esempio, la distribuzione di carburanti e le reti 5G.
Carburanti
La rete di distribuzione dei carburanti è caratterizzata da margini più elevati e standard qualitativi della rete inferiori rispetto a quelli dei principali Paesi europei.
Ciò è principalmente dovuto alle restrizioni che ancora permangono sia all’ingresso sia all’uscita dal mercato, ad alcuni vincoli alle modalità di funzionamento degli impianti e alle condizioni generali di svolgimento del servizio.
La presenza di barriere all’entrata blocca lo sviluppo qualitativo del settore in termini sia di diversificazione dell’offerta dei prodotti oil sia di ampliamento della gamma offerta di servizi non oil. La rete distributiva italiana è sovradimensionata e inefficiente, soprattutto se posta in comparazione con quelli dei principali Paesi europei con popolazione comparabile a quella italiana. Un ulteriore indicatore della maggiore arretratezza della rete distributiva italiana rispetto a quella degli altri Paesi europei è rappresentato dalla minore diffusione di apparecchi self-service per l’erogazione dei carburanti. A fronte di queste debolezze rimane prioritario l’obiettivo di una razionalizzazione e ammodernamento delle reti di distribuzione, come più volte segnalato anche dall’Autorità per la Concorrenza.»
Il primo commento a freddo è un “ripescaggio” dagli archivi della memoria: quel che novellava il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 luglio 1978 (l’altro secolo!), recante «Direttive alle regioni a statuto ordinario per l’esercizio delle funzioni delegate in materia di distribuzione di carburanti», premesse (nel testo che risulta dalle successive modifiche ed integrazioni dei D.P.C.M. 30 dicembre 1980 e 19 gennaio 1982) era, sempre testualmente, che «2) per realizzare gli obiettivi previsti dal piano energetico nazionale approvato dal C.I.P.E. in data 23 dicembre 1977 e in data 4 dicembre 1981, il numero degli impianti di distribuzione automatica di carburanti per uso di autotrazione deve essere ridotto: a) mediante chiusura entro il 31 marzo 1983 degli impianti che nell’anno 1976 abbiano erogato una quantità non superiore a litri 100.000 di prodotti; b) mediante ulteriore eventuale chiusura di impianti fino a raggiungere gradualmente entro il 1985 l’erogato medio europeo». Sono passati anni quarantadue. Questo per il confronto con le reti di altri Paesi europei.
Per non parlare del self-service: qualcuno, così per puro caso, ricorda la Legge 111/2011, articolo 28, comma 5? Quella che statuisce che «Al fine di incrementare l’efficienza del mercato, la qualità dei servizi, il corretto ed uniforme funzionamento della rete distributiva, gli impianti di distribuzione dei carburanti devono essere dotati di apparecchiature per la modalità di rifornimento senza servizio con pagamento anticipato.»?
Potremmo continuare citando l’impianto “ghost”, lo smantellamento di qualsivoglia restrizione in termini di distanze, di terzi e quarti prodotti, delle reiterate liberalizzazioni dei prezzi e delle reti susseguitesi nell’arco di quasi un trentennio, ma è sufficiente buttare un occhio neppure tanto attento alla realtà delle rete di questi anni: ridotto a metà il numero di punti vendita di proprietà delle major di una rete complessivamente sempre sovrabbondante di un buon terzo, ceduti gli asset a pezzetti di aziende storiche del mercato, migliaia e migliaia di impianti indipendenti, di microreti con proprio marchio o no-logo – altro che barriere all’ingresso! -, migliaia di impianti più che marginali in termini di erogato (già basso nella normalità), sacche di illegalità fiscale sovrabbondanti che vi si annidano.
È più che evidente, pertanto, che questo “copia e incolla” sul Programma Nazionale di Riforma deve essere stato pescato, con pessima scelta di tempo ed assoluta assenza di una verifica della realtà, in qualche remoto archivio tra la carta da macero.
Se “razionalizzazione e ammodernamento” di questa rete significa, nelle pieghe della “Riforma” on la R maiuscola, una ulteriore scarica di presunte (quanto superflue) liberalizzazioni, ovvero al più un ennesimo “tavolo” (che durerà certamente altri anni alla ricerca della composizione di interessi ben altrimenti frammentati che negli anni che furono), beh, grazie, ma anche no!
A dirla tutta ciò che manca, tra le tante “liberalizzazioni” discutibili avvenute, è propriamente una “liberazione”: quella dalla mancanza di regole, dall’abuso della dipendenza economica del gestore, dalla impossibilità di operare in termini di quella “civiltà commerciale” che riguarda tutte le altre categorie del commercio, da chi vende alimentari a chi vende abbigliamento, e ciò malgrado tutte le leggi “speciali” di questo settore. Ed un tanto senza espropriare nessuno, operando in sinergia, anzi, con le aziende e presidiando il settore dai rischi dell’illegalità, secondo quanto abbiamo già avuto modo di proporre anche recentemente in tema di contrattualistica e di rapporti commerciali in questo settore. La prima risoluzione De Toma ne tracciava i lineamenti, dando sia risposte per una innovazione contrattuale che tutele per la contrattualità tradizionale.
Senza un tanto, qualunque razionalizzazione – anche la migliore possibile, ammesso che ne esista una dopo oltre quarant’anni di ricerca infruttuosa – non risolve nulla. In questo senso, la Politica non è che debba far molto, non serve paradossalmente neppure che rinunci ai suoi assunti “ideologici” sulle fonti alternative: basta che faccia un po’ di equità commerciale.
E certamente non ripescando, come sembra di leggere nel “Programma di Riforma”, dalle soffitte polverosi ed inutili ciarpami.