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ENI: LO «SGANCIAMENTO» DEL LEADER DI MERCATO

Il mancato raggiungimento di un’intesa con Eni per il rinnovo dell’accordo aziendale dei gestori non può non essere letto nel contesto generale della situazione del Gruppo.

Raffinazione e distribuzione sono diventati ormai solo un peso per il leader del mercato italiano: la prima è destinata a ridurre del 50 % le proprie lavorazioni con la chiusura di altri quattro/cinque impianti, la seconda sta diventando una specie di «terra di nessuno» per la quale non vi sono più idee né modelli, in bilico tra ristrutturazioni teoriche e «ghostizzazioni» concrete, il tutto senza alcun riguardo per l’ulteriore sacrificio di occupazione e per l’esasperazione delle situazioni di disagio economico e sociale degli addetti coinvolti.

Che le cose vadano così, è stato affermato senza tanti giri di parole dal nuovo management dell’azienda: «Un capo azienda non può buttare soldi dalla finestra investendo in un business ormai in crisi irreversibile in tutta Europa.» questo testualmente ha detto l’A.D. Claudio Descalzi.

E se il riferimento puntuale è alla raffinazione – un pezzo storicamente importante e strategico dell’industria italiana – tanto più vale per distribuzione e rete, che da tempo non hanno più nulla di «strategico».

La relazione di Eni sui risultati del secondo trimestre 2014 riserva alla divisione Refining & Marketing le seguenti annotazioni: «Nel secondo trimestre 2014 i margini di raffinazione nell’area del Mediterraneo sono rimasti su valori depressi a causa della debolezza strutturale dell’industria, penalizzata da eccesso di capacità, calo della domanda di carburanti e crescente pressione competitiva da flussi di prodotto importato da Russia, Medio Oriente e Usa. In tale scenario il margine indicatore Eni (standard refining margin) che approssima il sistema e i bilanci materia delle raffinerie Eni, ha registrato una contrazione del 30% nel trimestre (-45% su base semestrale).»

I ricavi del primo semestre 2014 di R&M [28,686 mld euro] corrispondono a circa il 51 % dei ricavi di tutta intera la Corporate Eni [56,556 mld euro]. Ma il contributo di R&M alla determinazione dell’utile operativo adjusted di tutto Eni [che vale nel primo semestre 2014 6,219 mld euro] non solo è nullo, ma addirittura negativo: registra, dopo tutto quel tourbillon di quasi 29 miliardi di ricavi, una perdita di 442 milioni di euro [nel 2013 erano 310].

E del resto il business è tutto altrove: Exploration&Production, infatti – con meno di 15 miliardi di euro di ricavi -, ha un utile operativo di 6,431 miliardi di euro, ossia più alto dell’utile operativo di tutta la corporate. Insomma, senza la perdita di R&M, l’utile operativo salirebbe da 6,431 a 6,873 miliardi di euro.

E su vendite, rete e quote di mercato, la relazione di Eni sui risultati del secondo trimestre 2014, riporta che «Le vendite di prodotti petroliferi nel mercato rete Italia sono state di 1,60 milioni di tonnellate, evidenziando una contrazione del 6,4% a causa del calo dei consumi nazionali e della forte pressione competitiva (3,05 milioni di tonnellate, -9,2% nel semestre). La quota di mercato è pari al 26,4% nel secondo trimestre 2014, in calo di 1,5 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (27,9%).»

Per fare un confronto rispetto a «prima della crisi», si possono leggere i dati di sintesi della relazione sui risultati del primo semestre 2008: i ricavi dell’intero gruppo erano circa analoghi a quelli attuali [55,422 miliardi di euro], ma l’utile operativo adjusted era pari a 11,514 miliardi di euro, ossia quasi il doppio di oggi; anche allora Exploration&Production faceva la parte del leone, ma totalizzando circa l’81 % dell’utile operativo dell’intera Corporate, non il 110 % come oggi; R&M aveva ricavi per 24,274 miliardi di euro [il 15 % in meno di oggi], ma registrava un utile operativo di 180 milioni di euro: anche se era un’inezia rispetto al totale del gruppo [non più dell’1,6 %], marcava comunque ancora un segno «più».

Tutti questi numeri per dire cosa?

Per dire questo:

la crisi della raffinazione non è solo italiana, ma in generale, europea; da un lato servono investimenti, dall’altro la competizione con i raffinatori di altre aree del mondo sembra una partita persa in partenza;

tuttavia, le aziende multinazionali integrate, gli utili [e ragguardevoli] li fanno;

la logica finanziaria, l’organizzazione in «scatole operative», gli azionisti, ecc. – in generale e non solo nel caso di cui stiamo parlando – portano a liquidare i «rami secchi» e privilegiare gli assi di business sicuramente remunerativi: si taglia quel che non rende più o non rende come ci si aspettava, si intensifica quel che rende e più rende e più si intensifica;

poco importa se il taglio dei rami secchi determina un ulteriore smantellamento dell’industria del nostro Paese, né se si determinerà una maggiore [e rischiosissima] dipendenza energetica del Paese stesso;

poco importa se un tanto determina ulteriori sacrifici dell’occupazione, rovina dell’indotto, ecc., insomma una ulteriore botta allo stato dell’economia;

paradossalmente nel caso in oggetto, il «socio» più pesante è pur sempre lo Stato Italiano che della crisi, della crescita, dell’occupazione, dell’industria e della stabilità energetica «dovrebbe» in qualche modo pur sempre essere vigile e responsabile co-attore.

In quel che sta avvenendo in questo settore ed in questo frangente c’è [usiamo parole non nostre, ma scritte su Staffetta] «l’incapacità della classe dirigente politica, industriale …. del Paese a capire in tempo i cambiamenti, a spiegarli …. e ad approntare gli strumenti per affrontarli».

E se non si considera tutto questo contesto, in fondo in fondo a tutto il sistema e cioè nell’ultima parte della filiera, le vicende della rete, gli accordi che non si fanno, la totale assenza di strategie, le cose che ogni giorno avvengono sui piazzali degli impianti, rischiano – nella loro drammatica inaccettabilità per chi le deve subire sulla propria vita – di non trovare spiegazione possibile o di essere motivate con l’arrendevolezza e/o l’inconcludenza delle organizzazioni di categoria, e di far scambiare gli amici con i nemici.

Invece – ed al di là del singolo caso di Eni -, le verità, le responsabilità, la combinazione di interessi, complicità o negligenza, il cinismo dei poteri forti nel tempo della crisi sono assai più complessi e peggiori.