DALL’ILLEGALITÀ ALLA RISTRUTTURAZIONE: PROSEGUONO AUDIZIONI ALLA CAMERA
Proseguono in queste settimane le audizioni alla X^ Commissione Attività Produttive dalla Camera dei Deputati sulla risoluzione dell’On.le DE TOMA e altri (M5S) sul settore carburanti, con i riflettori accesi sulla questione dell’illegalità.
La scorsa settimana, il Procuratore della Repubblica di Trento, dr. Sandro RAIMONDI, ha avanzato una stima secondo la quale la percentuale del nero sul totale del prodotto venduto è del 30 %. Autorevoli le referenze: si è occupato di accise fin dal lontano 1982, prima al tribunale di Milano e poi a quello di Brescia, a lui va ascritta l’indagine Free Fuel che nel 2018 ha portato a diversi arresti in quest’ultima città, così come pure la recentissima operazione di Trento.
“Oggi il paradosso è che con un chilo di cocaina si rischiano 9 anni, con un’autobotte da 30mila litri non si rischia niente. La filiera del commercio è gestita e non si muove un litro senza che la criminalità organizzata lo consenta”: parole testuali del Procuratore, che, in relazione alle attività di coordinamento con altre Procure territoriali e la Procura nazionale antimafia e terrorismo, aggiunge che “abbiamo constatato che il traffico viene gestito al nord dalla ‘ndrangheta – in particolare, sulla base di indagini da me svolte, da associazioni facenti capo a Capo Rizzuto o a Cutro – e al sud dalla camorra”, dati “acquisiti non per sentito dire o pettegolezzi tra esperti ma da indagini che ho svolto con la Guardia di finanza. Secondo una stima che abbiamo fatto confrontandoci con il comando generale della Guardia di finanza, stima che non ha riscontro oggettivo, ma si può definire verosimile, il 30% del venduto sfugge all’imposizione fiscale” il cui valore assoluto sarebbe “di circa 10-12 miliardi di euro”.
La “metodologia” del delinquere “che viene replicata sempre” sarebbe secondo il Procuratore quella delle “società filtro che importano prodotto, un metodo che non costa nulla ed è di difficile accertamento” e che si può in qualche modo riscontrare “solo con intercettazioni in cui i commercianti parlano del fissaggio del prezzo con riferimento al Platts” più un delta che “viene restituito con note di credito o in contanti”. Con tali procedure, come da esperienza maturata, “sono sufficienti 5-6 società finte per mettere in atto una frode dove in pochi mesi la violazione della sola Iva è di circa 4,5 milioni di euro”. E sulle indagini, Raimondi ha posto il problema della loro efficacia: “la caratteristica della criminalità organizzata è appunto di essere organizzata, con una vera e propria struttura imprenditoriale come una Spa o Srl. Occorre quindi organizzarci meglio di loro”. Da qui nasce l’idea di “affiancare esperti ai militari della Gdf”, in modo da “capire prima se la rotta delle indagini è giusta e analizzare macro dati in tempi velocissimi”.
Richiesto da parte dell’On.le Luca SQUERI di una valutazione sulla correlazione tra illegalità ed abbandono del mercato dalle compagni e polverizzazione della rete e del mercato il Procuratore ha ribadito il legame tra i due fenomeni: “c’è un ingresso incontrollato di soggetti. Il punto è che chi non accetta esce dal mercato. Un imprenditore venne da noi e si sfogò dicendo che non voleva fare quelle cose perché sapeva benissimo che era prodotto in nero, ma che se non avesse accettato avrebbe portato i libri in tribunale”, e, sollecitato sempre da Squeri sull’opportunità di vietare le lettere di intenti, Raimondi ha sostenuto che “abbiamo riscontrato lettere di intenti false, è un punto che va cambiato normativamente”.
Non manca una battuta del Procuratore anche alla questione della temperatura “fiscale” dei prodotti: “l’accisa viene scontata a 15 gradi, in realtà l’autobotte ne ha 30 e già qui c’è un’evasione all’inizio. In Germania c’è un rapportatore che quando il prodotto viene erogato lo riporta a 15 gradi. Ma queste sono cose più banali”.
Il tema dell’illegalità è stato ovviamente presente anche nella audizione della Guardia di Finanza, rappresentata dal generale Giuseppe ARBORE, del Comando Generale del Corpo, che annuncia come siano “centinaia le indagini attualmente in corso sulle frodi nella distribuzione carburanti” (frodi che, in base alla tipologia, risulterebbero quantificate nel 40 % di frodi IVA – frodi carosello e lettere di intento fasulle -, in un altro 40 % di falso olio lubrificante ed in un restante 20 % di contrabbando vero e proprio) e si dice convinto che le norme inserite nel Decreto fiscale attualmente in fase di conversione in legge “saranno un argine fortissimo al fenomeno, siamo sicuri”.
Le frodi sono una piaga “su cui da tempo abbiamo concentrato gli sforzi. Abbiamo registrato ultimamente un incremento notevole del contrabbando dall’Est Europa, soprattutto dalla Slovenia”.
“Nelle nostre analisi – sostiene il Generale Arbore – partiamo spesso dal prezzo: se è troppo basso rispetto alla sostenibilità economica c’è il sospetto che dietro ci sia la filiera illegale”. La GdF, ha evidenziato, ha fatto diversi controlli “perché i punti vendita esponessero bene il prezzo e lo comunicassero al Mise”, controlli che hanno generato “oltre mille violazioni di omessa comunicazione. In un anno e mezzo abbiamo fatto circa 5.000 interventi, verbalizzato 8.000 soggetti di cui 1.735 segnalati all’autorità giudiziaria e 44 tratti in arresto. Sono state sequestrate 14.180 tonnellate di prodotti e accertati consumi in frode per quasi 310.000 tonnellate”.
In merito alle misure di contrasto necessarie, Arbore ha sostenuto che molte delle modifiche auspicate e sostenute dalla GdF sono già state trasfuse nel decreto-legge fiscale attualmente in fase di conversione, grazie anche ai “contatti costanti con le associazioni di categoria, che si sono mostrate disponibili a questi interventi”: dal monitoraggio degli oli lubrificanti alla digitalizzazione della filiera che è “fondamentale”, dall’eliminazione delle lettere di intento che “interromperebbe da subito tutte quelle tipologie di frode” al sequestro per equivalente ed alla interoperabilità e sussidiarietà delle banche dati.
Alle domande dell’on.le Pierluigi BERSANI sull’anomalia di “migliaia di stazioni di servizio che erogano meno di 300.000 litri” e a quella dell’on.le Luca SQUERI sulla plausibilità che la malavita organizzata acquisti punti vendita riciclando denaro sporco, il Generale Arbore ha sostenuto che “la camorra investe in questo settore anche proventi di attività illecite. Il basso erogato è uno degli alert sulla cui base avviamo le nostre indagini. Ci sono centinaia di indagini in corso in tutta Italia che daranno esiti nei prossimi mesi”.
Ma al centro del dibattito c’è anche la rete distributiva e la sua mancata razionalizzazione.
Significativa al proposito la querelle appena occorsa in Commissione tra l’on.le Luca SQUERI ed il Segretario Generale dell’AGCM (Antitrust), Filippo ARENA, con il primo che ha senz’altro addebitato all’Authority di aver contrastato “con accanimento” ogni organico disegno di ristrutturazione della rete ed il secondo che ovviamente ha respinto ogni addebito.
Secondo Arena, l’Antitrust “segue con attenzione il settore sin dalla sua nascita”, settore in continua evoluzione che “nell’ultimo ventennio è stato oggetto di importanti liberalizzazioni, fin dalla fine dei prezzi amministrati nel 1994”, mentre del 2012 è l’indagine conoscitiva “che ha riassunto questa evoluzione identificando gli elementi che ostavano a un’efficienza della rete, tale da riverberarsi in inefficienze e in prezzi che nel nostro Paese sono speso più alti che nel resto d’Europa” rappresentabile dai dati su punti vendita ed erogato medio in Italia e in altri Paesi europei.
AGCM sostiene che tale inefficienza “ha a che fare con un assetto che non è adeguato e idoneo sotto il profilo della liberalizzazione dell’offerta e della struttura del mercato. Gli interventi legislativi, pure utili, sono stati purtroppo frammentati ed episodici e si sono scontrati con una regolazione regionale e comunale non in linea con l’indirizzo del legislatore nazionale. Anche in questo settore c’è un tema da mettere al centro: servono regole certe e stabili”, considerato che ci sarebbero “ancora vincoli all’ingresso e all’uscita dal mercato”, con “regolazioni asimmetriche tra verticalmente integrati e nuovi entranti, pompe bianche in primis”.
Si dovrebbe, secondo Filippo Arena, puntare “a un’ulteriore liberalizzazione dei rapporti contrattuali, che consentirebbe un’aggregazioni tra piccoli operatori che potrebbero contrattare meglio con l’operatore petrolifero che potrebbe a sua volta dare la materia prima anche ad altri soggetti creando pompe multimarca”. E sui vincoli alle dismissioni, ha osservato “sussistono costi importanti in termini di bonifica che spesso non si è in grado di avere, con il risultato che spesso resta in piedi un impianto inefficiente. Nel 2001 fu istituito un fondo per sovvenzionare le chiusure e fu introdotta una penalizzazione dei comuni che non verificano la chiusura degli impianti incompatibili. Strumenti utili e idonei ma si sarebbe dovuto aumentare il fondo e rendere vincolanti le penalità per i comuni”.
AGCM addita come esempio inefficace l’anagrafe degli impianti introdotta con la legge sulla concorrenza, in base alla quale entro il 29 novembre dovrebbero essere chiusi gli impianti incompatibili. “Sono pressoché certo che il discorso non è andato avanti, è una norma farraginosa perché prevede livelli nazionali, comunali e regionali, e richiede un accordo per l’attuazione e i controlli. Questo ha impedito il raggiungimento dello scopo”.
Alle osservazioni si è opposto Squeri che ha addebitato all’Antitrust di figurare “tra i massimi responsabili del mancato disegno unitario”, perché a suo tempo impedì “l’accordo tra le compagnie per la chiusura dei punti vendita: dall’alto delle teorie liberiste e puriste disse che non era possibile”, esattamente come si oppose sempre a suo tempo ad un “meccanismo che si era mostrato incredibilmente efficace per cui per aprire un impianto bisognava chiuderne tre”, un meccanismo in grazia del quale “si passò da 40mila a 25mila impianti”. E circa l’ “accanimento” dimostrato contro il settore, Squeri ha ricordato l’indagine (e la relativa condanna) “che finì nel nulla perché il Consiglio di Stato la considerò inconsistente”. Il punto centrale, il “disegno unitario” di cui si lamenta l’assenza, era, secondo Squeri, “ristrutturare prima di liberalizzare, ridurre il numero degli impianti in maniera concordata”. E se l’accanimento verso il settore dei carburanti avesse trovato anche una minima applicazione “anche nei settori dell’elettricità e del gas, adesso non avremmo chi ha il 90% del mercato”. “Adesso è tutto molto più difficile, le aziende sono andate via, il mercato è liberalizzato, sono entrati operatori legati alla camorra e ‘ndrangheta e quindi è difficile ricomporre un quadro che consenta un disegno unitario” ha concluso Squeri.
In allegato le memorie dell’Agenzia delle Dogane, della Guardia di Finanza e dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.